1 marzo 2017

EDU al Marconi di Rovereto

Su invito della prof. Tiffani Tarchioni, una delegazione di attivisti di Amnesty International Italia - Gruppo di Rovereto e Alto Garda, si è recata lo scorso 13 febbraio (con un’appendice il 1 marzo) presso la classe IIF dell’ITIS Marconi di Rovereto, per sensibilizzare gli studenti sul tema della pena di morte.

La classe aveva già svolto un lavoro nelle settimane precedenti, quindi si è cercato di “mettere a frutto” e di tirare le fila di quanto già fatto. Per coinvolgere gli alunni si è utilizzato un gioco di ruolo. Gli studenti sono stati suddivisi in gruppi:
  • sostenitori dell’abolizione della pena di morte;
  • sostenitori della pena di morte;
  • condannati a morte;
  • parenti delle vittime;
  • giuria.

Gli studenti dovevano esaminare e “giudicare” il caso reale di Napoleon Beazley, un ragazzo afro-americano, messo a morte in Texas il 28 maggio 2002 per un omicidio commesso quando aveva 17 anni e giudicato da una giuria composta da soli bianchi.
Per vivacizzare il gioco si è simulato un “processo”, in cui i sostenitori della pena di morte ed abolizionisti svolgevano rispettivamente i ruoli di accusa e difesa.

La partecipazione è stata vivace e coinvolgente e gli studenti, anche a seguito di alcuni spunti degli attivisti di Amnesty, si sono appassionati ed hanno approfondito sia vari aspetti del caso (la razza dell’imputato, la giovane età, la sua capacità di intendere e volere, il suo percorso di crescita dopo la la condanna a morte e prima dell’esecuzione), sia - in generale - argomenti a favore o contro la pena di morte.

Il risultato di questo incontro non può che essere valutato positivamente, sia per la partecipazione e la passione dimostrata dagli studenti, sia per l’esito del processo. Dopo che i portavoce di tutti i gruppi hanno espresso le loro opinioni e si sono confrontati, la giuria ha stabilito – seppure a maggioranza – che “l’imputato” doveva essere liberato. Pur consci della gravità del reato commesso, i giudici hanno ritenuto che passare alcuni anni nel braccio della morte, costituisse una pena adeguata e sufficiente, anche in considerazione del fatto che l’angosciante attesa dell’esecuzione potesse considerarsi un “trattamento inumano e degradante” ai sensi delle Convenzioni internazionali contro la tortura.


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