20 giugno 2015

Profughi oggi: la via della solidarietà

Il 20 giugno è la “Giornata internazionale del rifugiato”: proclamata dalle Nazioni Unite nel 2001 per commemorare l'approvazione nel 1951 della “Convenzione sui rifugiati” (Convention Relating to the Status of Refugees), ricorda anche la condizione di milioni di persone in tutti i continenti costrette a fuggire dai loro Paesi e dalle loro case a causa di persecuzioni, torture, violazioni di diritti umani, conflitti e guerre.
Firma della "Convenzione sui rifugiati"

Rifugiato, infatti, è chi è stato espulso dal proprio Paese a causa di discriminazioni politiche, religioserazziali, di nazionalità o è fuggito da una guerra e trova ospitalità in un Paese straniero che riconosce legalmente il suo status. A differenza del migrante il rifugiato non ha scelta: non può tornare nel proprio Paese perché teme di subire persecuzioni o teme per la propria vita. Purtroppo oggi ci sono milioni di profughi il cui status giuridico di rifugiato non è riconosciuto a causa delle tortuose pratiche burocratiche, dell’elevato numero di uomini, donne e bambini costrette a lasciare le loro case, delle difficili condizioni di accoglienza, ma soprattutto dell’impiego da parte della comunità internazionale di risorse limitate e insufficienti come denuncia Amnesty International.


Secondo stime recenti i profughi totali oggi sono circa 50 milioni, di questi l’86% viene ospitato da paesi poveri come Iran, Libano, Turchia, Kenya, Chad e solo il 14% viene accolto in Europa e negli Stati Uniti. 

Una delle più gravi crisi mondiali è quella della Siria: oltre quattro milioni di siriani hanno lasciato il loro paese; il 95 % di loro si trova in appena cinque paesi: Turchia, Libano, Giordania, Iraq ed Egitto. La comunità internazionale non ha fornito mezzi e strumenti adeguati e la situazione è talmente disperata che alcuni dei paesi confinanti con la Siria hanno adottato misure estreme, compreso il diniego d'ingresso nei loro territori a persone disperate e il loro respingimento verso il conflitto.

Altra area colpita dalla crisi e dimenticata è quella dell'Africa sub-sahariana: qui vi sono oltre tre milioni di profughi. Lo scoppio dei conflitti in paesi quali il Sud Sudan e la Repubblica Centrafricana ha costretto un crescente numero di persone a fuggire dalla guerra e dalla persecuzione. I conflitti e le crisi in questa regione hanno provocato un afflusso di profughi negli stati confinanti, molti dei quali già ospitano profughi provenienti da vari paesi tra cui Somalia, Sudan, Eritrea ed Etiopia. In alcuni casi, come in quelli del Sud Sudan e del Sudan, i profughi sono ospitati da paesi che sono a loro volta sconvolti da un conflitto. La crisi dei profughi in Africa riceve poca se non nulla attenzione nei vertici politici internazionali.

Di fronte a queste ed altre emergenze Amnesty International ha presentato una proposta per  rafforzare il sistema della protezione dei profughi e ha sollecitato  gli stati a impegnarsi concretamente al rispetto dei loro obblighi  giuridici e a battersi per una condivisione internazionale delle  responsabilità. Tra le azioni che Amnesty International chiede ai governi di intraprendere, vi è la richiesta di creare un fondo che possa fornire sostegno finanziario ai paesi che ospitano grandi numeri di profughi; la ratifica globale della Convenzione delle Nazioni Unite sullo status di rifugiato; lo sviluppo di procedure nazionali eque per esaminare le richieste di asilo e garantire che i rifugiati abbiano accesso ai servizi di base, quali l'assistenza sanitaria e l'istruzione.

Di fronte ad un fenomeno di tali dimensioni non si può rimanere indifferenti né chiudersi anacronisticamente su posizioni dominate dalla paura irrazionale dello straniero, ma come ricorda uno dei pensatori più influenti del mondo, Zygmunt Bauman:


Zygmunt Bauman
"Siamo chiamati a unire e non a dividere. Qualunque sia il prezzo della solidarietà con le vittime […] qualunque sia il prezzo dei sacrifici che dovremo pagare nell’immediato, a lungo termine, la solidarietà rimane l’unica via possibile per dare una forma realistica alla speranza di arginare futuri disastri e di non peggiorare la catastrofe in corso".

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